Categoria: 2017/18

ROSA, il caso Vercesi

liberamente ispirato a

La vera storia di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria di Guido Ceronetti

In una rovente notte d’estate, due donne percorrono a piedi un elegante viale alberato di Torino, ignare di ciò che sta per accadere. È il 18 agosto del 1930 e le due donne sono Rosa Vercesi e Vittoria Nicolotti. A notte fonda qualcuno sente delle urla provenire dall’apparta-mento all’ultimo piano del n.52, poi il silenzio…

La cronaca e il rapporto di polizia parlano di un omicidio avvenuto quella notte. Per i giudici sarà premeditazione e furto: ergastolo. Tutto il resto, gli affari che si intrecciano ad una storia d’amore fra le due, la notte di sesso, che a Vittoria piaceva violento, il probabile uso di cocaina, sono cancellati, rimossi, sono bisbiglio di popolo.

Complice di tutto questo la stessa assassina, Rosa, che per vergogna preferisce beccarsi un ergastolo per futili motivi, piuttosto che ammettere lo scandalo di un delitto passionale.

Un pendolo magico segue il loro destino. Dal passato emergono visioni oscillanti, immagini distorte, dettagli ingranditi, parole sognate, spettri sonori di vecchie canzoni.

Sulla scena si materializza il luogo del delitto, il più vicino possibile alla realtà proprio perché rigorosamente immaginario, in cui prendono forma i fatti come si svolsero per Rosa e Vittoria, indissolubilmente legate l’una all’altra, presenti entrambe in un solo corpo di attrice.

Nell’oceano delle pulsioni e della casualità che noi chiamiamo destino, si percepisce la luce tenue della verità di un crimine d’amore insanguinato bene, reso impuro dalle mani che prima e dopo aver ucciso, approfittano per rubare.

Non ci si può aspettare che sia la logica ad avere il timone della narrazione: la vita è sempre contro la logica e le furie della passione sono tenaci, nella sopravvivenza e nell’inafferrabilità.

Adattamento scenico di Fabrizio Rosso

Musiche di Nadir Vassena

ROSA, il caso Vercesi

liberamente ispirato a

La vera storia di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria di Guido Ceronetti

In una rovente notte d’estate, due donne percorrono a piedi un elegante viale alberato di Torino, ignare di ciò che sta per accadere. È il 18 agosto del 1930 e le due donne sono Rosa Vercesi e Vittoria Nicolotti. A notte fonda qualcuno sente delle urla provenire dall’apparta-mento all’ultimo piano del n.52, poi il silenzio…

La cronaca e il rapporto di polizia parlano di un omicidio avvenuto quella notte. Per i giudici sarà premeditazione e furto: ergastolo. Tutto il resto, gli affari che si intrecciano ad una storia d’amore fra le due, la notte di sesso, che a Vittoria piaceva violento, il probabile uso di cocaina, sono cancellati, rimossi, sono bisbiglio di popolo.

Complice di tutto questo la stessa assassina, Rosa, che per vergogna preferisce beccarsi un ergastolo per futili motivi, piuttosto che ammettere lo scandalo di un delitto passionale.

Un pendolo magico segue il loro destino. Dal passato emergono visioni oscillanti, immagini distorte, dettagli ingranditi, parole sognate, spettri sonori di vecchie canzoni.

Sulla scena si materializza il luogo del delitto, il più vicino possibile alla realtà proprio perché rigorosamente immaginario, in cui prendono forma i fatti come si svolsero per Rosa e Vittoria, indissolubilmente legate l’una all’altra, presenti entrambe in un solo corpo di attrice.

Nell’oceano delle pulsioni e della casualità che noi chiamiamo destino, si percepisce la luce tenue della verità di un crimine d’amore insanguinato bene, reso impuro dalle mani che prima e dopo aver ucciso, approfittano per rubare.

Non ci si può aspettare che sia la logica ad avere il timone della narrazione: la vita è sempre contro la logica e le furie della passione sono tenaci, nella sopravvivenza e nell’inafferrabilità.

Adattamento scenico di Fabrizio Rosso

Musiche di Nadir Vassena

Strauss Reloaded

Dominique Vellard, tenore

Giacomo Schiavo, tenore

Pierre-Stéphane Meugé, sassofoni

Marcus Weiss, sassofoni

Ma fin est mon commencement………

et mon commencement ma fin…

Due voci (Dominique Vellard, Giacomo Schiavo) e due sassofoni (Pierre-Stéphane Meugé et Marcus Weiss). Un progetto musicale incrociato, con musiche di Alessandro Agricola, J.S. Bach, Béla Bartòk, Luciano Berio, Josquin Desprez, di compositori della Scuola di Notre-Dame de Paris, come di Orlando di Lasso, Guillaume de Machaut, Igor Stravinskij e Stefan Wolpe passando ovviamente anche per Richard Strauss.

La sfida è quella di mettere a confronto – sia per affinità sia per contrasto – musiche cronologicamente molto remote, ma a volte sorprendentemente vicine. L’incrocio è doppio: con le voci – strumento senza tempo, ancestrale vettore dell’espressività umana – e con i sassofoni – strumento espressione della tradizione moderna e contemporanea, per sua stessa natura aperto agli incroci e alle influenze più estreme. Malgrado questa distanza – all’apparenza incolmabile – gli strumenti riescono a farsi voce, modulando le proprie sonorità, articolazioni e fraseggi fino ad accordarsi senza durezze con quelli dei cantanti. Al punto che alcuni brani molto antichi potrebbero oggi apparire originariamente e inevitabilmente pensati per un simile organico che capovolge il tempo.

Dominique Vellard (nato nel 1953) è un tenore francese e specialista della musica medievale con all’attivo più di una cinquantina di incisioni discografiche. Nel 1979 fonda l’Ensemble Gilles Binchois, un gruppo di spicco nella performance dell’ Ars Nova. È anche un compositore.

Giacomo Schiavo, tenore italiano, ha studiato alla Schola Cantorum Basiliensis, e il suo repertorio si estende dal Medioevo al Romanticismo. Ha partecipato a numerossime produzioni in tutta Europa.

Marcus Weiss, nato a Basilea nel 1961, ha suonato in tutto il mondo con orchestre prestigiose come la Berliner Sinfonie Orchester, Orchestre NDR Hamburg o la Tonhalle Orchester di Zurigo, così come con molti ensemble di musica contemporanea. Molte le composizioni a lui dedicate (Aperghis, Ablinger, Lachenmann, Stockhausen, Netti, Globokar, Vassena, Kyburz, Furrer, Sotelo, Gervasoni, Sciarrino e altri). È docente di sassofono e musica da camera presso la Hochschule für Musik di Basilea.

Pierre-Stéphane Meugé è nato a Bordeaux nel 1964, conduce una carriera concertistica che, pur rimanendo concentrata in Europa, lo ha portato in tutto il mondo. Nel 1985, ha frequentato il famoso Seminario di fenomenologia musicale e direzione d’orchestra di Sergiu Celibidache, un incontro importante con il maestro rumeno. Dopo un periodo di lavoro presso il l’IRCAM di Parigi dove ha studiato anche composizione con Emmanuel Nunes (un altro incontro decisivo), è diventato nel 1988 il primo professore di sassofono presso i Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt. Dal 1999, Pierre-Stéphane Meugé é docente di sassofono e musica da camera nelle classi professionali del Conservatorio di Losanna.

Stravinskji Reloaded – Ipek Gorgun

Nata e cresciuta ad Ankara, Ipek Gorgun è una giovane artista turca. Dopo una laurea in scienze politiche e un master in filosofia, si dedica completamente alle sperimentazioni musicali elettroacustiche, sia come compositrice e performer, sia come ricercatrice presso l’Istanbul Technical University Center for Advanced Studies in Music. 

Il suo approccio multidisciplinare le ha permesso di muoversi sapientemente e consapevolmente sui confini di diversi generi e approcci musicali, senza mai perdere il suo personale equilibrio estetico. E’ stata bassista e cantante in diversi progetti, suonando con i Vector Hugo e i Bedroomdrunk (con questi ultimi pubblica “This is What Happened” nel 2003 e “Raw” nel 2007) e ha lavorato come compositrice di colonne sonore. Nel 2014 viene selezionata per rappresentare la Turchia alla Red Bull Music Academy del 2014 a Tokyo, dove si è esibita come opening artist per “Test pattern no: 6” di Ryoji Ikeda e dove ha partecipato ad una sessione di improvvisazione guidata da Otomo Yoshidide.

Nei suoi progetti da solista Ipek Gorgun indaga minuziosamente la materia sonora in tutte le sue immaginabili configurazioni e dialettiche, sperimentando allo stesso tempo le sue possibili dissoluzioni. Nella sua arte, che si muove all’interno di quel ‘contenitore’ che va sotto il nome di musica elettroacustica, la compositrice non solo dimostra di conoscere e saper trattare con arte tutte le tecniche di elaborazione e sintesi elettronica tipiche della dimensione più strettamente di ricerca, di cui sembra averne assimilato la più profonda sostanza, ma anche manifesta un deciso interesse nei confronti di quella scena elettronica underground legata all’IDM, alla Techno sperimentale e soprattutto al Noise. Campionamenti audio, elaborazioni estreme, distorsioni o semplici oggetti sonori di sintesi si amalgamano così in un risultato che esplora pienamente il range dinamico e le possibilità timbriche, dispiegandosi lungo strutture formali astratte e mai scontate in cui passaggi radi e cristallini si alternano ad esplosioni dinamiche che riportano alla memoria, senza mai strumentalizzarle, le sofferenze attuali delle terre d’origine della compositrice. Questo approccio sfugge così a qualsiasi esaustiva definizione, se non quella che ne sottolinei la ricchezza in termini di contenuti e di potenza comunicativa, e ne confessi l’attinenza con il più profondo sentire del nostro enigmatico contemporaneo digitale. Come afferma A. Meister in FreqZine, parlando dell’ultimo disco solista della Gorgun, la sua musica «seems to speak of a dormant world of figurative symbolism and archetypal tone poems celebrating the restful dissolve into the slumbering arms of an electronic Morpheus».

Per la stagione 2017/2018 di OGGIMUSICA Ipek Gorgun sarà impegnata in un libero rework elettroacustico del balletto L’Uccello di Fuoco di Igor’ Stravinskij, che verrà eseguito totalmente live il 18 maggio 2018 presso il LAC di Lugano.

Mozart Reloaded – Taylan Arikan e Quartetto Borromini

Taylan Arikan, baglama e voce

Quartetto Borromini, quartetto d’archi

 

Progetto:

La moda diffusa nel XVIII secolo delle turcherie – cioè del comporre e del suonare “alla turca” – fu fortemente influenzata dal trionfo della Lega Santa nel Secondo assedio di Vienna del 1699, che pose fine alle guerre austro-turche con la sconfitta degli Ottomani. Molti compositori europei assorbirono i rivolgimenti di quel particolare momento storico trasferendo in musica le proprie sensazioni, da quelle più profonde a quelle più superficiali. L’influenza della musica turca non fu peraltro reale e puntuale: i compositori del periodo non condussero nessuna indagine etnomusicologia, e non adottarono alcuno stile o sonorità dei paesi mediorientali, anche perché il pubblico europeo non era certo ancora pronto ad accettare certi aspetti – ritenuti sgradevoli e primitivi – di quegli stili musicali. La musica turca tradizionale includeva infatti microtoni, arabeschi, sistemi di scala differenti, e modelli ritmici non occidentali, e gli europei ritenevano questo tipo di musica – come disse una volta Wolfgang Amadeus Mozart – “offensiva per le orecchie”: brevi estratti di essa erano tollerati nelle opere, ma solo per aggiungere effetti comici.

Di tutte queste contaminazioni settecentesche oggi si ricorda soprattutto la Marcia turca dell’ultimo movimento della Sonata per pianoforte in la maggiore, KV 331 di W. A. Mozart.

Mozart Reloaded si inserisce nel perfetto centro del tema, tentando una sintesi – improbabile ma comunque plausibile – tra la musica per quartetto d’archi di Mozart, la visione mozartiana sulle turcherie, l’attuale musica turca e una nuova prospettiva sull’opera di Mozart: il tutto in un unico programma di concerto, anche contornato dalle Danze rumene di Bartók (anch’esse simbolo di una tradizione musicale a metà strada tra l’Occidente europeo e il Medioriente) e da una rilettura di Mathias Steinauer che tenta una conclusione conciliante del programma.

Programma:

W.A. Mozart (1756-1791) tbd (movimento di un quartetto d’archi mozartiano)

Mathias Steinauer (1959) “…WOAMM…” op.21 (2006)

per Baglama e quartetto d’archi

W.A. Mozart tbd (movimento di un quartetto d’archi mozartiano)

Béla Bartók (1881-1945) Rumänische Tänze, per Baglama e quartetto d’archi

arr. Taylan Arikan

Taylan Arikan Improvvisazioni / musica tradizionale turca

Mozart/Steinauer Alla(h)turca (2006) per Baglama e quartetto d’archi

Mathias Steinauer Schlussstein op. 22.2 (2008/18)

per trio d’archi e tre pietre del’orgalitho (prima esecuzione assoluta)

Taylan Arikan, originario dell’Anatolia è uno dei più versatili e virtuosi suonatori di Baglama (una sorta di liuto) della sua generazione. Egli è riuscito a liberare questo strumento dai suoi confini tradizionali e a farlo conoscere ad un vasto pubblico in Europa. Nelle sue composizioni costruisce spesso ponti fra tradizione e innovazione: elementi di musica popolare orientale si fondono con arrangiamenti moderni e improvvisazione. Oltra ad avere fondato il duo Meduoteran con la fisarmonica di Srdjan Vukasinovic sta attualmente lavorando con il violinista francese Gilles Apap e il leggendario bassista spagnolo Carles Benavent (Paco de Lucia, Chick Corea).

L’Ensemble Borromini è una compagine svizzera che a partire dall’originario Quartetto omonimo ha ampliato la propria formazione includendo alcuni tra i migliori musicisti della regione insubrica, riunendoli sotto la guida della pluripremiata violinista Barbara Ciannamea. Nato nel 1997 con il nome di “Quartetto Ars Moderna”, Il Quartetto Borromini ha pubblicato nello stesso anno un CD con il celebre quartetto di Maurice Ravel ed il “Quartetto per archi” del compositore ticinese Fabio Tognetti, scritto per l’occasione. La presentazione del disco e i numerosi concerti hanno raccolto favorevoli consensi sia dal pubblico che dalla critica. Dopo pochi anni il Quartetto ha assunto il nuovo nome di Quartetto Borromini, espandendo ulteriormente l’attività concertistica in tutta Europa. L’ensemble Borromini nasce dalla preziosa esperienza in quartetto e si prefigge di coinvolgere giovani musicisti di grande talento accanto a musicisti di chiara fama attivi come solisti, come cameristi nonché in qualità di prime parti in orchestre quali quelle della Svizzera italiana e del Teatro alla Scala di Milano. Il repertorio dell’Ensemble e del Quartetto attraversa tutte le epoche storiche, dal barocco alla musica dei giorni nostri.

 

 

SIBELIUSreloaded: LU FTSTR OM/EW-4

Programma

Kaj Duncan David (*1988): Latency Phase  

Wolfgang Heiniger (*1964): Memorabilia

L’ensemble Ew-4 trasferisce l’interazione dei musicisti nella musica da camera su un nuovo piano puramente elettronico. Gli strumenti a fiato digitali, EWI, offrono varie opzioni di modulazione simultanea del suono, come ad esempio il flusso d’aria e la pressione del morso sull’imboccatura, consentendo un controllo complesso del suono. L’interazione tra i musicisti e l’interazione con i computer rappresenta musicalmente ciò che è diventato ovvio nella vita di tutti i giorni: la navigazione tra mondi analogici e digitali.

In “Sibelius Reloaded” i quattro esecutori rielaborano campioni musicali, facendoli circolare dall’ uno all’altro e creano un caleidoscopio musicale nei colori del Concerto per violino di Sibelius.

Per «Latency Phase» Kaj Duncan David ha sviluppato un concetto di giochi di luce con sfumature molto differenziate al fine di creare nuove possibilità espressive musicali, strumentali e visive.

“Memorabilia” di Wolfgang Heiniger è un tributo ad una vecchia „Musica Contemporanea” che è oggi nota solo agli specialisti e che rievoca in questo pezzo, nella sua coerenza sonora e nel suo radicalismo poetico, i tempi della musica elettronica della metà del secolo scorso.

www.ew-4.art

EW-4 

Beat Hofstetter            EWI (Electronic Wind Instrument)
Sascha Armbruster     EWI (Electronic Wind Instrument)
Andrea Formenti         EWI (Electronic Wind Instrument)
Beat Kappeler             EWI (Electronic Wind Instrument)

Sebastian Schottke         regia del suono

 

 

Ultimatum alla Terra

Concerto itinerante all’interno del LAC, in collaborazione con l’Orchestra della Svizzera italiana, la classe di improvvisazione libera del Conservatorio della Svizzera italiana e con la scuola di danza contemporanea “spazio inverso” di Tesserete.

ltimatum alla Terra (The Day the Earth Stood Still) è l’adattamento cinematografico in due versioni – una del 1951 e l’altra del 2008 – del racconto Addio al padrone (Farewell to the Master, 1940) di Harry Bates.

Attraverso la messa in scena nei vari spazi del LAC, gestiti e allestiti per un pubblico itinerante, questa storia verrà trasformata in una sorta di favola per bambini, senza tuttavia alterare l’essenza del racconto, che oltre ad essere molto avvincente, è anche estremamente educativo ed attuale. Il soggetto si concentra infatti sulla situazione del pianeta Terra, che l’uomo sta sfruttando in maniera così sconsiderata da mettere in pericolo la diversità biologica e la stessa possibilità della vita. L’alieno Klaatu, che atterra con una gigantesca astronave, è mandato da una potente comunità aliena per portare un ultimatum al genere umano. Dopo vari tentativi di contatto e rendendosi conto che gli uomini sono esseri distruttivi incapaci di cambiare, Klaatu decide di dare il via al procedimento per sterminare la razza umana con lo scopo di salvaguardare il pianeta.

Egli avrà tuttavia altre esperienze: assisterà alla tristezza di un bambino per la morte del padre, ascolterà la musica di J.S. Bach e parlerà con uno scienziato, vincitore del premio Nobel, il quale gli spiega che quando ci si trova a un passo dal baratro è lì che si ha la volontà di cambiare. Klaatu alla fine si convince che c’è dell’altro nell’umanità e capisce che essa avrà la capacità di riscattarsi. Ritorna quindi alla sua astronave per fermare lo sciame alieno che aveva già iniziato la distruzione, lasciando la razza umana nel silenzio e nella riflessione.

Come già gli scorsi anni – con progetti che hanno suscitato un interesse travolgente, con un costante overbooking per le rappresentazioni, che comunque hanno coinvolto più di 500 ragazzi ogni anno – il pubblico sarà invitato a passeggiare all’interno del LAC. I musicisti dell’OSI saranno distribuiti in gruppi localizzati in altrettanti spazi dell’edificio. Il giovane pubblico sarà condotto a gruppi da una postazione all’altra, scoprendo e avvicinando nel percorso e nei punti di sosta nuove e inedite sonorità. Istallazioni sonore viventi (con studenti ed ex-studenti del Conservatorio della Svizzera italiana, coordinati nel corso d’improvvisazione libera) ed elettroniche costruiranno un ponte sonoro che farà risuonare tutto il percorso.

Oggimusica ha chiesto a giovani compositori studenti e/o ex-studenti del corso di musica da film della Zürcher Hochschule der Künste di comporre i brani per l’OSI.

Prokofiev Reloaded – GYRE Ensemble

Anno intenso, il 2017, per l’Ensemble Gyre: un lungo tour negli Stati Uniti nel mese di aprile e una serie di importanti concerti a Chicago e Buffalo. A partire da settembre di nuovo in Europa, con un programma simile anche in Svizzera per concerti già pianificati a Zurigo, Ginevra, Basilea, Biel e Berna. Oggimusica è particolarmente orgogliosa di dare il via a loro “Tour de Suisse 2017” con la prima tappa proprio a Lugano.

Il programma presenterà compositori svizzeri e non, con in particolare una prima esecuzione di Carlo Ciceri (compositore oramai da diversi anni residente a Lugano) che si è lasciato ispirare da Debussy per il lavoro che aprirà il concerto.

Carlo Ciceri, NUOVA OPERA (2017) (prima esecuzione assoluta)

Santiago Díez Fischer, Tres Ciegos (2017) (prima esecuzione svizzera)

Tobias Krebs, NUOVA OPERA (2017) (prima esecuzione assoluta)

José María Sánchez-Verdú, DHAMAR for accordion and saxophone

Sam Scranton, NUOVA OPERA (2017) (prima esecuzione svizzera)

Nadir Vassena, NUOVA OPERA (2017) (prima esecuzione assoluta)

‘Gyre’ significa spirale o anche vortice: un modo preciso per descrivere ciò che accade quando a suonare insieme sono il corpo-a fiato dei sassofoni, la macchina del vento della fisarmonica e la nuvola delle percussioni. Lo scopo del gruppo è quello di sviluppare nuovi pezzi e concetti per questo organico inconsueto. L’Ensemble Gyre, basato a Basilea, è formato da musicisti provenienti da diverse parti del mondo – Germania, Spagna, Stati Uniti d’America – e il suo scopo è quello di collaborare fattivamente con i compositori e in costante dialettica costruttiva con il pubblico.

Ensemble Gyre

Alejandro Oliván, sassofoni

Stefanie Mirwald, fisarmonica

Christian Smith, percussioni

Šostakovič Reloaded

Programma

Praeludium (Šostakovič: arrivando al cinema)
Look (Justine Klaiber/Jane Mumford, 2012)

Interludium 1 (Šostakovič: ascoltando)

Anamorphosis (oppure De Artificiali Perspectiva, Quay Brothers, 1991)

Interludium 2 (Šostakovič: Hamlet, 1964)

Tongue of the Hidden (David Anderson / Florian Ghibert / Jila Peacock, 2007)

Interludium 3 (Shostakovich: Odna, 1931)

Entr’acte (René Clair, 1924)

Interludium 4 (Šostakovič: Cheryomushki, 1963)

La clé des champs (Claude Nuridsany, Marie Pérennou, 2011)

Postludium (Šostakovič: viaggiando nel treno)

Dmitrij Šostakovič ha iniziato lavorando come pianista per film muti. Nel 1930 – dopo essere caduto in disgrazia presso Stalin – le rappresentazioni delle sue opere furono vietate dal Partito Comunista e nel frattempo aveva pure perso il lavoro di insegnante. Il governo rivoluzionario russo concesse tuttavia al compositore di lavorare nell’ambito della musica per film, per quella che doveva essere una punizione umana e creativa e che invece si rivelò una prodigiosa epifania artistica.

Šostakovič Reloaded mostra idealmente il compositore in viaggio mentre riflette e ascolta la propria musica, attraverso le impressioni di tre film muti per cui ha composto le colonne sonore.

Così come già Šostakovič fece, anche il quartetto Stones4Cinema utilizza sia l’improvvisazione sia musiche composte per l’occasione, integrando anche temi musicali del compositore russo. Di particolare rilievo è lo strumentario adottato, con la particolarità degli strumenti di pietra di nuova concezione.

Il quartetto Stones4Cinema è composto dal trio di percussionisti The Stone Trio e dal compositore Mathias Steinauer.

I tre percussionisti lavorano fin dalla fine degli anni ‘90 con strumenti di pietra, ricercando e sviluppando continuamente nuove tecniche esecutive e ampliando lo spettro sonoro e le possibilità espressive del litofono. Insieme i musicisti abbracciano un ampio arco di esperienze stilistiche: musica classica contemporanea, jazz, musica africana e improvvisazione libera, spesso fuse senza soluzione di continuità l’una nell’altra.

Prima ancora di formarsi e affermarsi come compositore, Mathias Steinauer è stato attivo come tastierista e compositore nell’ambito art-rock degli anni ’70. Ora si ripresenta di nuovo sul palco come interprete e improvvisatore, con strumenti che riflettono sia le esperienze giovanili – in particolare il Fender Rhodes – sia le successive raffinate ricerche compositive: un piccolo litofono microtonale, un generatore di onde sinusoidali, una melodica e un computer.

Dominik Dolega, percussioni

Matthias Brodbeck, percussioni

Felix Perret, percussioni

Mathias Steinauer, tastiera